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…all’università diedero ad abbassare questa tortura della goccia visto che da quando le due donne si erano messe a fare questa tortura cinese il rendimento scolastico della ragazza si era notevolmente alzato. Infatti più loro cercavano di fare il lavaggio del cervello a Francesca più lei prendeva trenta e lode agli esami. Le due suocere sperarono che con il passare dei tempi la ragazza si sarebbe stufata di studiare, visto che gli studi, se non hai degli agganci cosa che le due famiglie non avevano, da soli non portano molto lontano. Avrebbe preferito fare quello che due donne gli prospettavano. Ma Francesca prese in mente tutto il lavaggio del cervello delle due suocere e se lo ripeteva nella mente, quasi fosse un mantra da rispettare. E con quello c’era la spinta di andare all’ateneo e di sbaragliare i professori per la preparazione che aveva.
Alberto invece, finito l’Esame di Stato con un voto accettabile ma non molto forte, venne istradato da suo padre a fare una scuola tecnica per imparare il mestiere della fabbrica. A lui però importavano tutte quelle cose che fanno le donne in casa, vista la indole femminile che sempre più sviluppava. Il padre cercò, già prima di quell’incontro alla stazione, di dare una dirittura a suo figlio facendogli fare il tifoso di sport, ma più lui cercava di fare il lavaggio del cervello al figlio più lui si rintanava in cucina con sua mamma, con le scuse più disparate, e faceva il suo attendente. Sia di giorno che durante la sera. Il padre dapprima disse chiaramente che la cosa non gli stava bene. Ma Alberto cercò di motivare il padre dicendogli che più sapeva fare nella vita di tutti i giorni senza una donna più lui poteva essere indipendente. Il padre sapeva già che lui sarebbe finito con una donna al suo fianco, a fargli da serva, ma la cosa che sapesse fare quello che fanno le donne in casa avrebbe fatto un possibile mix per donne, come poi successe, che antepongono la carriera al fare le massaie ‘come è giusto che sia essere donna accanto al marito’.
Il padre smise di costringere il figlio a guardare le partite alla televisione o di andare con lui allo stadio cittadino per guardare i calciatori giocare. Oppure giocatori di Rugby che fossero. Da quel momento il figlio ebbe una fioritura assoluta. Era un ottimo rimpiazzo di sua mamma, che da brava chioccia non difese il figlio davanti al padre sapendo perfettamente che il figlio avrebbe tenuto testa al padre, ma lo accolse tranquillamente al di fuori dell’impiego di operaio che trovò nella zona industriale della città, e gli fece capire cosa dovesse fare per perfezionare quella sua attitudine al mettere mano ad una casa e ad una famiglia. Al resto ci pensò la consuocera più avanti, visto che Alberto prese solo i rudimenti dato l’assorbimento nella fabbrica e nei lavori manuali di casa sua. Ma questo dettaglio venne fuori dopo che la moral suasion, se così la si può chiamare, delle due famiglie di origine fece iniziare i periodi di separazione beffa da parte dei due coniugi.
Infatti Alberto e Francesca, quando avevano bisogno di dedicarsi meglio al proprio lavoro e lei non ce la faceva a seguire suo marito nel minimo di…

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Dopo pochi secondi i due iniziarono a ridere prima leggermente poi sempre più sonoramente. La risata fu data dal fatto che adesso non dovevano più litigare per finta come marito e moglie in modo da far contenti i rispettivi genitori che non gli credevano quando dicevano che la loro vita matrimoniale andava a gonfie vele, anche se di bambini non ne arrivavano. Fu così per i primi anni in cui lei faceva pratica di avvocatura e lui faceva l’operaio in quella fabbrica della zona industriale salvatasi dalla crisi economica di qualche anno prima. Entrambi erano appagati di una vita piena come la loro. E non volevano figli di mezzo. Furono i genitori di lei, autospinti da quelli di lui, che li portarono a litigare per aizzare la brace della loro vita matrimoniale. Entrambi i suoceri erano consci e volenterosi di iniziare a fare i nonni. Quelli di lui per il fatto di avere un solo figlio da cui avere quella soddisfazione. Quelli di lei perché Francesca è l’unica figlia non sterile dei loro quattro figli.

* * *

Le trattative durarono cinque settimane. Ogni settimana i rispettivi genitori si ritrovavano al ristorante rispettivamente preferito, e in cui pagavano il conto in contanti, e parlavano di quello che avrebbero dovuto fare per far si che i figli avessero tutto quello che necessitava ad una coppia di sposi. Gli amici su cui fare affidamento erano pochi, e quindi la lista di nozze si riduceva a poche voci. Il resto ce lo avrebbero dovuto mettere i rispettivi mamma e papà, ognuno secondo le proprie possibilità.
Le due mamme si misero di buona lena a cercare di creare un bel corredo matrimoniale ad un prezzo contenuto, comprando secondo le offerte e le possibilità delle occasioni.
I due papà si misero di buona lena a dare un corredo anche da parte loro, ma di attrezzi ed utensili a cui poi si sarebbe dovuto applicare il ragazzo come apprendista dei due padri. Chi si diede da fare con la pesca, chi con la caccia, ma alla fine diedero al ragazzo la preparazione prettamente di carpentiere e tuttofare in modo da essere capace, oltre ad un possibile posto di lavoro manuale, anche in caso di disoccupazione.
Tutto venne calcolato fino nel minimo dettaglio. Intanto i due ragazzi sopportavano a malincuore quella preparazione ad essere marito e moglie come se loro non fossero capaci di fare qualcosa per conto loro.
Su due cose si arresero le rispettive madri e i rispettivi padri: Francesca avrebbe fatto la business woman e Alberto avrebbe fatto l’uomo di casa più di quanto fosse consentito. I due ragazzi lo fecero capire a sonore lettere: o così o pomì. Loro non volevano rinunciare alle rispettive carriere. Le due madri fecero capire in tutti i modi a Francesca che il posto di una donna è accanto a suo marito a fare la crescitrice di figli e la ripulitrice di casa. Ma i buoni voti di lei…

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“Piacere, Francesca” e gli allungò la mano.
“Piacere Alberto” e lui strinse la mano alla ragazza, ma senza troppo peso di quella presentazione.
Il silenzio ripiombò tra i due. Lui beveva a sorsi la sua birra. Lei rigirava la tazzina vuota del suo caffè con piattino per il cornetto adiacente rimasto sbocconcellato.
Dopo qualche minuto, lei prese la parola e chiese ad Alberto come mai lui li.
Il ragazzo spiegò con una frase mozzata: “Vuole così papà”. E non disse altro.
Lei invece disse: “Sto aspettando il mio ragazzo”. Fin li nulla di particolare, se non per Alberto spingersi ad un altro tavolo. E poi proseguì: “Forse potresti essere tu…”
A questa frase Alberto trasalì. “Come sarebbe?”
Franci si mise a spiegare. Disse che quel tavolino, nella sua famiglia, è un tavolino magico, permette di incontrare le persone della tua vita. E siccome quella sera l’unico uomo che si era seduto era lui, vuol dire che molto probabilmente l’uomo della sua vita poteva essere lui. Si trattava di una tradizione di famiglia.
Alberto pensò anche a lei come una condizionata dalla sua famiglia di origine. E come tale vincolata da accordi genitoriali.
Lei aveva trovato il suo lui. Lui aveva una lei da presentare ai suoi genitori. Si poteva dire che la frittata fosse fatta. I due si scambiarono delle confidenze, liberandosi del peso di essere oppressi dai genitori. Si dissero anche contenti di presentarsi rispettivamente ai genitori. Ma si diedero una promessa: non appena morti i genitori ognuno per la propria strada…
Da quel momento fu un andirivieni di cene e pranzi tra le due famiglie. Ma bisogna andare con ordine: il figlio fece vedere, quella sera, al padre la ragazza. La quale vide il ragazzo ed il padre di lei quasi in contemporanea. I due genitori si sedettero al tavolino del bar e fecero tutte le trattative del caso, quasi fossero due commercianti che trattano della merce da vendere. E naturalmente i due figli erano presenza morta a quel tavolino.

* * *

La ragazza col cappello, cioè Francesca più giovane, dopo pochi secondi che si stavano guardando negli occhi, essendosi lei tolta gli occhiali, mollò a Alberto un sonorissimo ceffone, che risuonò nel silenzio della mattina in cui erano immersi.
I due si guardarono e dopo poco anche Alberto mollò uno schiaffo a quella ragazza, ma senza un motivo apparente. Lei lo aveva fatto e lui lo fece di contraccolpo.

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…compito di uscire con una moglie da sposare e soprattutto che passasse l’approvazione dei genitori.
Si potrebbe pensare che due genitori del genere facessero il male per il loro figlio. Ma anche loro erano passati dalla stessa trafila e quindi sapevano che avrebbe dovuto passare la stessa cosa anche lui. Lo volevano, in gergo tecnico, ‘sistemato’. Intanto si pensa alla moglie, poi al lavoro e ai figli. In modo da riprodurre quel sistema sociale in cui erano agenti i genitori di Alberto da madre e padre obbligatoriamente di un figlio.
Era talmente pregna la sua famiglia di quel sistema che il padre, oramai avanti nell’età, voleva ‘concludere la pratica’ il prima possibile.
Così fu. Alberto venne accompagnato alla discoteca, fin dentro, dal padre, che spese i soldi del biglietto per se stesso per portare dentro il figlio e fargli vedere quante belle ragazze potevano fare per lui. A lui veniva in mente solo Gianni e quel suo corpo scultoreo. Infatti Alberto girava gli occhi sugli uomini nel locale.
Il padre, accortosi di questo, lo distolse violentemente dicendogli che se portava a casa un ragazzo poteva tranquillamente stare a casa sua perché un figlio frocio lui e sua moglie non lo volevano. Volevano un nipotino come tutti i loro amici. E magari più di uno.
Alberto voleva piangere, ma si trattenne. Non voleva altra violenza verbale da parte del padre, in quel momento in cui cercava di capire come mai Gianni, tanto innamorato, lo aveva lasciato a piedi.
Disse al padre che avrebbe provato qualche ragazza, in quella serata. E il padre fu molto contento.
Alberto invece non fece altro che corteggiare la prima che passava per far andare via il genitore. E appena andato via si scusò e disse che aveva bisogno di un poco di aiuto per liberarsi del padre. La ragazza disse ad Alberto che anche lei era li per lo stesso motivo: liberarsi della madre. Non appena i due si diedero l’ok per essere liberi si separarono e andarono ognuno per la propria strada.
Alberto decise che sarebbe andato al bar li vicino al locale, dopo essere timbrato dal buttafuori, a pensare. Il fatto fu che per la maggiore molte altre persone avevano la sua stessa idea di stare al bar. E quindi non c’erano tavolini liberi. Chi era occupato a giocare a carte. Chi beveva cappuccino. Chi beveva alcolici e faceva il brillante dopo aver alzato troppo il gomito.
Alberto venne attirato da una ragazza vestita da maschiaccio con un cappellino che gli raccoglieva i capelli castani dietro la testa. L’unico posto libero era quello al suo tavolo e decise di andare a chiedergli ospitalità.
Lei non gli disse di no e così Alberto azzardò a prendere una birra e a sedersi con lei. I due non spiccicavano parola, ma lei guardava quel ragazzo come si guarda un oracolo o come un idolatro adora la statua a cui ha giurato fedeltà.
Ad un certo punto, più per educazione che per voglia, la ragazza si presentò.

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Vide davanti a lui una ragazza con un cappellino da baseball e degli occhiali da sole molto grandi. Al principio non la riconobbe. Ma quando si tolse tutto dalla testa vide in quella ragazza la moglie che aveva sposato nelle foto da ragazza.
Alberto continuava a non capire quello che gli stava succedendo, ma gli prese la voglia di giocare in tutta quella situazione. E l’unica cosa che chiese a quella ragazza fu: “Chi sei?”
La ragazza gli rispose: “Sono Francesca, la tua futura moglie”

* * *

Alberto pianse molto la dipartita di Gianni. E i genitori, almeno nel dolore del figlio furono comprensivi. Volevano che lui dimenticasse da solo quella brutta disavventura e che la facesse scivolare via dalla sua vita come scivolano via i dolori e i drammi non appena li hai catalogati nella tua anima e nel tuo cuore.
Passa una settimana, passano due. Alberto non fa nulla altro che starsene nella sua stanza a stare in silenzio, cercando di studiare per l’Esame di Stato. Durante i pasti sta in silenzio se non dicendo un si o un no di circostanza. Dopo la terza settimana, quasi agli sgoccioli delle iscrizioni universitarie, il padre non ce la fece più ed entrò in quella camera da letto per vedere in che condizioni fosse suo figlio. Lo trovò sdraiato sul letto, con il libro di chimica in mano, che guardava la stessa pagina senza muovere lo sguardo. E la cosa non gli piacque.
Il padre si fece animo e gli disse:
“Figliolo, tu sei stato sfortunato a trovare quell’uomo sulla tua strada. Ma adesso ci siamo noi. Lo sai cosa devi fare adesso? Una sola cosa: darci un nipotino. Lo vogliamo tanto io e tua mamma. Per noi è la tua assicurazione contro ogni malattia. Perché se tu hai un figlio ci pensi due o tre volte a fare delle cose matte o strambe. Ne risentirebbe la tua prole.”
Alberto guardava il genitore con le lacrime agli occhi. Non aveva idea suo padre del dolore che gli faceva sentire quelle pugnalate verbali.
“Adesso sai cosa facciamo?” riprese il padre. “Ci alziamo e ci facciamo belli. E poi andiamo a cercare una brava moglie per te… Vedrai che ci divertiremo!”
Alberto voleva dire se aveva delle alternative. Ma il tono mellifluo e catturante del genitore non lasciava scampo.
Fece tutto quello che il padre voleva. E lo fece con una controvoglia tale che si tagliò con il rasoio antitaglio e si sbrodolò la minestra della cena sui pantaloni. Il padre lo tirava su a forza, conscio che aveva ragione lui e che il figlio avrebbe fatto quello che diceva lui perché era la cosa che facevano tutti, e allora era la cosa migliore da mettere in campo.
Alla fine della serata, Alberto venne accompagnato, con gli stessi gesti e lo stesso peso con cui si trasporta un sacco di patate, alla discoteca locale. Con il…

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La vita proseguì tranquilla per tutta la giornata dopo la spesa fino a che Gianni torna a casa e trova, come sempre, la cena pronta e le faccende fatte. Il bucato stirato e l’armadio ordinato. I bambini sarebbero stati con la madre fino alla settimana dopo.
“Potrei desiderare di meglio dal mio compagno?” si chiede Gianni ad alta voce.
“Potrei fare la stessa domanda anche io…”
I due cenano come si cena in qualsiasi famiglia, con un Alberto che recupera la memoria sulla loro vita insieme e con un Gianni che dice: “Sono stato proprio un coglione a lasciarti andare per puro egoismo!”
Alberto lo guarda e sorride. Si alza dalla sedia e si avvicina al suo compagno. Lo ricompensa di quella frase con un bacio ed un caldo abbraccio. Che si allunga fino a che i due non finiscono a letto e riprovano le stesse sensazioni provate quella volta di tanti anni fa, contorcendosi quasi nello stesso modo di quella volta per tutto il giorno.
Il mattino dopo Alberto si sveglia e si ritrova solo. Sul letto c’è della polvere marrone e accanto alla finestra un cumulo della stessa abbastanza cospicuo. Sul cuscino di Gianni c’è una lettera sporca della stessa polvere marrone. Possibile che se ne sia andato via senza dargli il buongiorno?
Alberto si alza dal letto e legge la lettera.

    “Caro amore mio,
La mia ora è giunta. Avrai notato la polvere marrone sul pavimento. Si tratta del mio addio per te. Dalla terra sono nato e alla terra sono ritornato, dopo aver vissuto con te quei momenti felici di coppietta come avremmo voluto fare io e te tanti anni fa. Tua moglie sta per riprendere il suo posto accanto a te e sappi che questa lettera si scioglierà nel fumo quando tu avrai finito di leggerla. Ti amo e ti amerò per sempre. E mi dispiace tanto che tu abbia dovuto rinunciare a tutto per accontentare i tuoi genitori. Stammi bene e cerca di voler bene a quei due bambini, perché poche cose nella vita sono equiparabili ai figli e a chi ti sta accanto.
Addio.
Gianni”

Non appena ebbe letto la parola Gianni con il suo pensiero, la lettera si sciolse nel fumo. E così anche la terra dall’altra parte del letto che Alberto ebbe appena il tempo di notare prima che sparisse.
E adesso quale sarebbe stato il suo destino? Lui era li e non sapeva cosa fare. Niente bambini e niente moglie, o marito, da accudire. Aveva una certezza però: il lutto non lo poteva portare. Non se lo poteva permettere. Aveva una casa da mandare avanti e l’avrebbe mandata avanti costasse quel che costasse.
Stava per alzarsi dal letto quando sentì bussare alla porta.

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sabbia tra le dita
“Sono morto un anno fa. Sono stato accompagnato con un uomo che aveva l’HIV e me lo sono preso anche io. Lui è sopravvissuto, io no. In questo momento tu vedi di me un simulacro creato appositamente per appagare la tua voglia di essere il mio compagno. Ma sappi che è una cosa non a lungo termine: dovrò ritornare alla terra da cui sono nato. Te lo dirò a tempo debito. Adesso godimi come puoi e quanto puoi…”
A queste parole, un sentimento sotterraneo nell’anima di Alberto riaffiora alla mente e la rende leggera. Gianni e Alberto fanno il primo passo insieme come se si fossero preparati a farlo da sempre. Come se quel momento fosse il compimento di una vita passata ad aspettarsi l’uno con l’altro. E poi dopo il primo passo un secondo e un terzo e così via. La camminata tra i due è assai leggera. Ma diversa per ciascuno: Gianni si comporta così come se ci fosse abituato da una vita; Alberto fa l’allievo di quello che è la vita di coppia tra due uomini.
Entrano nel supermercato e ci sono persone che li salutano. Gianni fa gli onori di coppia e Alberto cerca di abituarsi a quel regime con piccoli cenni e salutando con molta enfasi.
I due fanno la spesa nello stesso identico modo in cui la fanno due sposini o due accoppiati. Si divertono in moine e pose tipiche di chi ha un orientamento sessuale come il loro. Ma è tutta scena, tanto per divertirsi. Ai due ritorna, lentamente e debolmente poco per volta, quel sentimento con cui avevano visto l’alba quella sera di tanti anni prima. Il muoversi per gli scaffali è comunque e quantunque un saltellare per Alberto, che mai nella sua vita avrebbe, fino ad un certo punto, sperato di trovarsi in quella situazione.
I due uscirono dal supermercato con il carrello pieno di tutto quello che la lista diceva, ma che non era quello che aveva segnato quella mattina visto che c’erano cose che mai avrebbe preso ma capì essere delle preferenze di Gianni, e si diressero alla macchina di Alberto, che si era trasformata in una familiare station wagon. Alberto continua a bloccarsi di colpo per tutte quelle trasformazioni, ma lo stupore è assente. In fondo i figli di lui e della ex moglie erano diventati anche di Gianni. Avevano bisogno di una macchina grande.
Alberto e Gianni montano in macchina dopo aver caricato i sacchetti e Alberto scopre di non sapere dove dover andare, visto tutta quella sequela di cambiamenti. E visto soprattutto che quella vita per lui era completamente nuova. Alberto decide, dicendoglielo, che sarebbe andato dove gli diceva Gianni. Il quale è ben posto a dirgli dove abitavano in quel momento. Gianni precisò anche che quello per lui era un giorno di permesso dal lavoro che svolgeva in uno studio di architettura come architetto capo. E che dopo le spiegazioni del caso lui sarebbe dovuto tornare allo studio.
Così fu. Alberto riprese la sua vita di massaio-arrabattato con dei vicini nuovi di cui lui aveva il sentore di sapere tutto di loro, lavori fatti e fatti altrui compresi.

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Salutò la lavandaia che misteriosamente salutò anche Gianni come se si conoscessero da tempo. Gianni ebbe anche l’ardire, secondo Alberto, di sapere qualcosa che solo lui sapeva, dopo anni di frequentazione, della lavandaia del centro commerciale.
La lavandaia si andò ad inquattare nel magazzino e ne ritornò con delle camicie, si, ma da uomo. Cioè come aveva detto Gianni.
Alberto cerca di capire che fine avessero fatto le camicette della moglie. E la lavandaia disse che le camicette non erano mai esistite, soprattutto per il fatto che lui e Gianni stavano insieme da tanti anni dopo la separazione dalla moglie.

A questo particolare Alberto era rimasto come un palo appena piantato nel terreno, con la bocca spalancata dallo stupore. Gianni lo scuote e lo fa ritornare alla realtà, dicendo che Alberto aveva detto quella cosa e si era comportato in quel modo perché stava pagando pegno di una delle sue scommesse con lui. La lavandaia non approfondì troppo. Si fece pagare le camicie lavate e stirate e salutò i due.
Alberto stava ancora guardando le camicie, che misteriosamente corrispondevano al numero di contromarca che aveva nella borsa a tracolla.
Gianni lo guarda sereno con una tranquillità tipica di chi sta facendo una cosa consueta alla sua routine giornaliera.
Alberto non capisce assolutamente nulla.
Però sembra esserci una logica in tutto quello che sta facendo, solo che lui non la cattura ancora. Soprattutto non ha capito una cosa: ma lui e sua moglie avevano divorziato quella mattina stessa? Perché altrimenti non si poteva spiegare. E anche se fosse le camicette che diventano camicie è davvero un mistero.
Gianni, vedendo lo smarrimento del compagno, gli viene incontro:
“Quello che tu stai vivendo insieme a me in questo momento è un regalo che il destino ti sta facendo per risarcire il danno di aver abbandonato me per fare contenti i tuoi genitori. O per lo meno perché io ti ho scacciato tanto violentemente dalla mia vita.
“Quando tu ti sei presentato a casa da me quella sera io sapevo già che i tuoi ti stavano cacciando di casa, perché ti ho sentito mentre ti dicevano tutte quelle cose. Li volevo conoscere e quindi mi stavo presentando davanti ai tuoi. Quando ho sentito quelle cose mi sono detto che con me non saresti stato felice. Io per certi versi sono un orso, e pur con tutto l’amore di questo mondo non avrei saputo farti vivere con me vicino. Mi ha pianto il cuore toglierti dalla mia vita in quel modo, ma con la tua famiglia avresti avuto una vita più duratura e più salda. Te lo dico in fatto di essere un orfano che avrebbe dovuto farsi carico della tua educazione, quando alla fine dei conti io educato non ero e non sono.

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Parcheggiò la macchina nel parcheggio dove c’era uno spazio vuoto e tirò fuori dal bagagliaio tutto il necessario per fare la spesa.
Rovistando dentro il portaspiccioli ne cava un gettone da carrello ma non lo va a prendere subito. Prima si direziona verso l’uomo e lo saluta come si saluta un vecchio amico dopo che lo si è rivisto da tanti anni.
“Ciao”
“Ciao”
“Come stai?”
“Come mi vedi?”
“Non mi sembra tu sia cambiato…”
“Invece ho qualche ruga in più. Non le vedi sopra le sopracciglia e nell’incavo degli occhi?”
“Adesso che mi ci fai guardare è vero…”
“Tu non sei cambiato di una virgola, a parte la magrezza e la barba folta…”
“Io adesso ho due figli”
“Sei sicuro? Non lo vedi il cartello?”
“E questo cosa c’entra? I miei figli sono a scuola adesso”
“Vuoi dire i nostri figli…”
“Nostri? E perché mai?”
“Perché li ho adottati un anno fa…”
“Tu nemmeno esisti e ti metti a parlare di adozione. Di certo sei frutto della mia immaginazione…”
“Guarda che in lavanderia qui al supermercato ci sono le mie camicie che tu non sei stato in grado di far venire nel colletto e nei polsini…”
“Guarda che in lavanderia ci sono le camicette di mia moglie, quelle che devono essere lavate a secco… Ti sbagli di grosso!”
“Scommettiamo che ci diamo un bacio qui in pubblico se ho ragione io?”
“Io non scommetto…”
“Comunque posso venire con te? Sono qui per questo…”
Alberto non sa cosa controbattere. Non voleva quella compagnia dato che aveva pagato caro il non poterlo più vedere, nella sua adolescenza. Adesso non sentiva più quei sentimenti di quando era un ragazzo. È stato come se il suo matrimonio lo avesse assorbito totalmente e irreparabilmente in ogni suo affetto. Ma, alla fine, se poteva vederlo e parlare con lui, dopo tutto quel tempo, avrebbe cercato di sapere da lui come mai quella volta venne spacchettato tanto violentemente.
Alberto fece segno ad un muto Gianni di venire con lui a fare le commissioni come lo si dice al proprio figlio che ti capisce con una occhiata.
I due si direzionano come una coppietta che va a fare quello che fanno tante altre coppiette al supermercato: acquistano roba da mangiare.
Ma prima Alberto doveva fermarsi alla lavanderia che era nello stesso comprensorio.

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Durante tutto il tragitto non fece altro che piangere, e lo fece anche davanti ai suoi genitori, che lo presero come un segno positivo della situazione.
Gianni scomparve completamente dalla sua vita.
Da quel momento in poi Alberto divenne creta nelle mani dei suoi.

* * *

Alberto guarda Gianni come si guarda un cane randagio: con simpatia, ma restando saldamente nelle proprie posizioni e nella macchina.
Non sapeva cosa dire a quella persona vestita esattamente come nel loro primo incontro ma con la differenza di quel cartello.
“Ciao” dice Gianni con fare amichevole.
Alberto è ancora carico di quell’odio accumulato negli anni per essere stato spacchettato via dalla vita di quel ragazzo. Oltre che da quella che avrebbe voluto vivere.
Alberto stava in macchina e non scendeva. L’unico mezzo di trasmissione della voce era il finestrino della macchina abbassato.
“Perché non scendi?” dice Gianni guardandolo con occhi dolci.
Alberto continua a guardarlo e ad ascoltare, ma non emette una parola.
Gianni e lui stanno in silenzio per alcuni secondi in cui oltre la voce è bloccato il movimento dei loro corpi. Gianni prende la palla al balzo e fa vedere il cartello che ha in mano. Lo guarda e dice quello che c’è scritto.
“Hai visto? Sono per te…”
Alberto lo guarda e non dice una parola.
“Hai visto il cartello? E hai visto chi lo sta portando?”
Alberto chiude il finestrino dopo uno sguardo lungo una eternità. Si rinsalda la cintura di sicurezza addosso e riaccende l’automobile, sicuro di andare ad un altro supermercato per lasciare li lui.
Gianni sbatte le mani sulla portiera ma Alberto ha chiuso la macchina dall’interno. Quindi non può entrare. “Apri, per favore!” Grida Gianni ma Alberto fa orecchie da mercante.
Alberto decide di andare ad un altro supermercato ricordandosi che dove stava per andare c’era da ritirare i vestiti in lavanderia. Quindi avrebbe fatto una cosa in più oltre a fare la spesa.
Il fatto strano è che anche all’altro supermercato trovò Gianni con il cartello davanti su cui stava scritta la frase “Per Alberto”.
Nessuno passando lo nota, o gli lascia una monetina quasi si trattasse di una boutade per racimolare qualche soldo in più.
Alberto, dopo essersi fermato davanti a l’uomo del cartello e averlo guardato, si decise che lo avrebbe affrontato.