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“Comunque… Adesso è di proprietà della sorella del signore. E lo usa come cantina. Buona giornata”
Alberto vorrebbe mettersi a piangere ma non vuole assolutamente la compassione del signore col cane.
Saluta educatamente e poi, quando il signore si era allontanato, Alberto cade in ginocchio e piange tirando pugni al terreno. L’incazzatura è talmente evidente che ogni pugno è un buco nel terreno.
Alberto è talmente arrabbiato che al massimo dell’incazzatura strabuzza gli occhi e sviene sul terreno. Dopo pochi secondi si ritrova a fissare, da dentro la sua macchina, quell’animale che nella boscaglia gli si era parato davanti, cioè il momento in cui tutto era iniziato.
Alberto necessitò qualche secondo per razionalizzare tutto quello che era successo. Non capiva se fosse stato un sogno oppure altro. Ma si decise di riprendere la marcia con la macchina, e ricordandosi di quello che doveva fare, non fece altro che riprendere la sua vita.
Percorsa la strada che dalla boscaglia portava vicino al supermercato, arrivò davanti al parcheggio e vide un autostoppista con un cartello in mano con su scritto il nome della capitale che distava una decina di chilometri. Alberto decise di far salire l’autostoppista e inoltre si disse che sarebbe potuto andare anche alla lavanderia a ritirare le camicette della moglie.
I due in macchina parlarono molto animatamente. Fino a che lui non capì che il ragazzo era gay. Avrebbe potuto dirgli che potevano magari avere una relazione clandestina. Che magari più avanti con il tempo le cose sarebbero cambiate. Ma non gli disse nulla di questo genere.
Alberto accompagnò il ragazzo alla stazione e si fece dire quale meta avrebbe scelto.
Il ragazzo disse la Francia.
Alberto prese un rapido appunto su un foglietto di numero di telefono e anche possibile indirizzo principale a cui scrivere una mail.
“In fondo la Francia non è il mio paese” si disse Alberto.

Fine

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“Caro Alberto,

io e tua mamma abbiamo certamente sbagliato con te. Magari adesso non vivresti come vivi e avresti al tuo fianco Gianni, di cui avevo preso informazioni e sapevo la operosità e la agiatezza.
Ti prego, cerca di capirmi: io e tua mamma siamo stati educati a fare così con i figli, perché si è sempre fatto così e così si deve fare. Ma molto probabilmente con te avremmo fatto meglio che buttare alle ortiche tutto questo bagaglio di odio e pregiudizio e sforzarci di far comprendere ai nostri amici che l’importante è volersi bene.
Se sei ancora vivo e stai leggendo questa lettera, ti prego di accettare questo ultimo consiglio: Non ti arrendere mai. Sappi che i sogni sono qualcosa di importante e che vanno inseguiti fino a che, sicuramente, se ti sei impegnato, si realizzeranno.

Un bacio
Mamma e Papà”

Non ci fu altra conseguenza che un pianto dirotto alla lettura di quelle righe. Alberto piangeva e piangeva, senza fermarsi. Piangeva per Gianni, che lo aveva abbandonato. Per i suoi genitori che in fondo si sentivano nella ragione a dare a quel figlio quel tipo di educazione. Per sua moglie che si è fatta anche lei portatrice di quel modo di fare con gli omosessuali ereditato senza volerlo dai suoi genitori.
Dopo che tutte queste persone gli sono passate davanti nella sua mente, Alberto decide che la cosa migliore è ricominciare da capo con Aldo e rifarsi una vita tutta daccapo.
Si dirige verso la casa del suo compagno, che adesso è un poco casa sua. Ma al suo arrivo trova la porta chiusa con un lucchetto.
Alberto chiama e grida il nome di Aldo. Ma nessuno risponde.
Un signore, che passa li accanto con il cane, vede Alberto e gli parla.
“Non ci abita più nessuno li…”
“Come? Ma fino a stamattina c’era qualcuno!”
“Si sta sbagliando signore. Sono più di due anni che chi ci abita è morto”
“Morto?”
“Si di cancro. Vivere li è difficile…”
“NON E’ POSSIBILE!”
“Perché grida tanto?”
Alberto si rende conto di aver esagerato a parlare.
“Mi scusi… Non volevo…”

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“È molto carino qui…” disse Alberto.
“E poi non sai una cosa…” rispose Aldo. “Io ho un lavoro. Il fare il barbone è una copertura per il mio incarico di detective privato. Lavoro a giornate.”
Infatti Aldo, appoggiano sul tavolo di volta in volta, si tolse il cappello, la parrucca, i denti finti e una telecamera nascosta dentro il cappello per riprendere tutto quello che passava dove lui era appostato.
“Ho l’incarico di sorvegliare un determinato portone e far sapere tutti quelli che entrano ed escono…”
Alberto riprese fiato del fatto che sarebbe diventato il compagno di uno che non ha ne arte ne parte.
“Pagano bene quelli di questa agenzia?”
“Si abbastanza. Sono tre anni che lavoro per loro”
“E non è che cercano qualcuno per pulizie?”
“Mi avevano chiesto se conoscevo qualcuno, prettamente maschio, per fare questo servizio. Gli dirò che ci sei tu…”
A questa notizia Alberto fece un salto sulla sedia, essendosi seduto al tavolo che occupava il centro del salotto tinello.
“Mi posso reputare assunto?”
“Credo di si…”
Il caminetto crepitava nella stanza, data la temperatura autunnale che nel lungo viaggio intrapreso di Alberto in queste avventure si era sviluppata.
I due erano li in quella stanza e non gli venne altra idea in mente che fare l’amore da perfetti amanti.
La sera passò tra un rapporto tra i due a una cenetta frugale e poi un altro rapporto tra i due che non fece altro che far pensare a Gianni ad Alberto.
La mattina dopo Aldo portò il caffè a letto al suo compagno e gli disse che stava per andare al lavoro. Ma stavolta non si vestì da barbone, ma da operaio el gas. Aveva un sacco di travestimenti nel suo armadio.
Alberto si gustò la colazione a letto e poi andò al tavolo per capire quello che c’era da fare in quel momento. A parte fare la massaia in quel monolocale, che ne aveva veramente bisogno, si disse che poteva contare su di un lavoro. Avrebbe poi adoperato le sue competenze di bricolage per dare alcune migliorie a quel posto.
L’unica cosa che gli era rimasto da fare era prendere i suoi vestiti a casa. Ma quando ci arrivò trovò solo un terreno incolto dietro la ringhiera con ancora la cassetta della posta attaccata. Stranamente Alberto aveva ancora le chiavi di quella cassetta e al suo interno vi trovò una lettera dei suoi genitori senza ne timbro ne francobollo.
Alberto apri la lettera e ne lesse tranquillamente il contenuto:

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occhi. Vide dentro di essi quella forza che aveva suo padre quando gli fece capire che certe cose non si possono tollerare. Che un figlio frocio, in questo caso un marito, non lo si può tollerare. Che è una cosa da non mettersi assolutamente in pratica ne ora ne nel futuro.
Giovanni è nato da poco più di un anno. E lui sapeva che poteva fare quella fine, imboscandosi con quell’uomo. Ma sperava nella clemenza della moglie visto che non faceva mancare nulla in casa, a livello di quello che doveva fare.

* * *

Quel barbone non sembrava uno di quelli. Era fresco di rasatura e soprattutto non puzzava di strada come tanti altri che aveva visto fino a quel momento.
Dapprima Alberto non sapeva se passare oltre o fermarsi a parlare con lui, se mai ci fosse qualcosa di cui dover discutere.
Decise di fermarsi.
“Ciao Aldo…”
“Ciao amore!”
“Amore?”
“Si, sei il mio amore. Me lo ha detto tua moglie…”
“E quando mai l’hai vista?”
“Dopo che era morta, è passata dalla strada che occupo io e mi ha detto che potevamo stare insieme…”
Alberto, a quella affermazione, trasalì.
“Non ho capito…”
“Tua moglie mi ha detto che adesso sei tutto mio…”
Alberto si vedeva già in mezzo alla strada come un barbone. Ma quella vista gli allontanò quell’uomo dalle possibili evoluzioni di quella sua vita che aveva preso una piega tanto bislacca.
“Vuoi vedere casa mia?” gli domanda Aldo quando Alberto inizia a creare sulla sua faccia quella mimica di sdegno e riluttanza tipica di chi guarda un barbone che ti chiede una monetina.
Lui non sa che dire. A sua memoria non aveva mai visto la casa di un barbone. Ne mai aveva pensato che un barbone potesse avere una casa.
“Accetto” disse di slancio Alberto.
I due si allontanarono da quell’angolo della strada e si diressero verso un campo sperduto fuori dall’hinterland della città. Arrivarono ad uno scatolo di cemento con una porticina di metallo. Dopo entrati Alberto vide una casa con il caminetto dove non mancava nulla. C’erano, anche se spaiati, tutti i mobili del caso, una cucinetta economica elettrica e un angolo bagno completo di water chimico.
Non si poteva dire che quel barbone se la passasse male.

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In quel momento riaffiora una serie di ricordi che Alberto aveva sepolto nella sua memoria.

* * *

Alberto non era mai riuscito a sopportare la mancanza di un uomo nella sua vita. Era già un papà che faceva bricolage e la casalinga da tanto tempo. Non poteva capacitarsi che un giorno, mentre insacchettava la spesa, avrebbe visto quell’uomo tanto affascinante da rapire i suoi sensi in modo potente. Si trattava di un cassiere sulla ventina abbondante, e la targhetta diceva che il suo nome è Aldo.
Per più di un mese, quando Alberto andava al supermercato, voleva essere servito da lui e non importava quanta fila ci fosse ma si metteva sempre alla cassa dove lavorava lui.
Passa un mese, passa l’altro, il cassiere capisce due cose: che Alberto è sposato, guardando il dito anulare della mano, e che gli sta facendo il filo. Alla prima cosa non poteva fare molto. Ma alla seconda non poté che sentirsi lusingato e apprezzato.
I due si trovavano la sera al parcheggio del supermercato quando non c’era nessuno. Lui trovava la scusa che andare a fare benzina al self di notte di quella casa petrolifera era un risparmio, e quindi prendeva la macchina e andava a raggiungere il suo amore.
I due, per diversi mesi, sviluppano questa relazione. Fino al giorno in cui Francesca, guidata da una maldicenza, va a casa dei genitori di Aldo e gli spiega la situazione. Lei non ha problemi a sopportare il marito. Ma loro sarebbero riusciti nello stesso intento, cioè a sopportare un figlio frocio?
I due genitori di Aldo si dissero che potevano anche farlo. Ma lei li fece ragionare in modo di portarli sulla strada che avevano avuto i genitori di suo marito. Gli fece capire che un figlio di quel tipo era una calamita per guai e problemi. E alla fine il babbo e la mamma dell’amante del marito si dissero che avrebbero persuaso il figlio a restare ancora con Alberto.
Francesca ha raggiunto il suo scopo, calunniando il figlio di quei due semplicissimi genitori. Ma suo marito sarebbe stato contento di questo fatto? In fondo i pantaloni li portava lei in quella casa. E poteva fare il brutto e il bel tempo, a suo piacimento.
Il giorno dopo, a pranzo, Alberto ricevette un messaggino  sul cellulare. La moglie di certo sapeva di cosa si trattava. E ne fu assolutamente certa quando l’espressione di suo marito si fece cupa e ombrosa: un’altra volta doveva rinunciare alla sua indole di uomo amante degli uomini.
Non ebbe il coraggio di guardare sua moglie, visto che molto probabilmente lei era la causa di quel messaggino. Ma con un piccolo sforzo la guardò negli

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Prima che i guardiani chiudessero le porte, un gatto si avvicina ad Alberto. E’ un gatto europeo con le striature bianche su manto rosso. E molto stranamente gli parla.
“Ciao”
Alberto si guarda intorno e cerca di capire chi sia che gli parla. Ma c’è solo il gatto e non può credere fino in fondo, anche se a quel livello poteva credere a qualsiasi cosa viste le avventure avute nel giorni passati, che sia lui a parlare.
“Sono qui sotto…” riprende il gatto a parlare.
Alberto lo guarda e spiccica parola con lui.
“Con chi ho il piacere di parlare?”
“Sono uno spirito guida. Gianni e tua moglie mi hanno inviato a farti compagnia fino alla fine dei tuoi giorni…”
Alberto sta zitto alla frase dell’animale.
“Non dici nulla?” disse il gatto
“No, nulla”.
“Ce l’hai un posto dove andare?”
“No. Ho solo lo zaino lasciato accanto alla porta che ho aperto…”
“Vai a prenderlo e poi vediamoci fuori dai cancelli, altrimenti ci chiudono fuori!”
Alberto rispose di si ma quel fatto del gatto lo rendeva sospettoso. In fondo si trattava di un animale randagio che non ha fissa dimora. E lui non voleva fare la stessa fine come i barboni di strada.
Trovò lo zaino accanto alla porta che conduce alla montagna. E gli venne la voglia di ritornare su quei monti. Ma la porta non funzionava più: al posto delle montagne c’era l’entrata delle cucine di un ristorante cinese.
Non sapendo da che parte sbattere la testa, solo e senza qualcuno di cui occuparsi e di conseguenza essere l’occupazione di quel qualcuno, ritornò al cancello del parco e li trovò il gatto che stava facendo toeletta.
Non considerò Alberto fino a che non ebbe finito di pulirsi con la sua lingua.
Quando lo vide con lo zaino in mano, gli disse di seguirlo. Attraversarono tutta la città diametralmente, fino ad arrivare ad una zona commerciale dove viveva un barbone contornato da gatti.
Alberto si presentò all’uomo, un soggetto sulla quarantina con la barba lunga e incolta, e lui lo guardò come si guarda un nemico.
“Cosa vuoi da me?”
Alberto non ha idea di cosa stia succedendo.
“Io ho seguito il gatto fino a dove abita lei. Se vuole me ne vado…”
Il barbone se ne sta zitto fino a che non ordina ad Alberto di sedersi. Dopo seduto i due si guardarono per alcuni minuti fino a che il barbone disse: “Non mi riconosci? Sono Aldo!”

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…consiglio di suo marito, di ritagliarsi degli spazi per non far mancare la parte femminile dei genitori di un figlio. In questo caso, dei figli.
Il resto della storia è l’inizio di questo racconto…

* * *

Lo zaino era pronto. Loro erano pronti. Una porta si stagliò davanti a loro. Alberto e Francesca presero in spalla gli zaini e aprirono la porta davanti a loro. Si trattava di un varco che conduceva direttamente nella loro meta preferita di quella promessa reciproca. Passarono diversi giorni a girovagare in lungo e in largo. Quando poi si fermarono un’altra porta si aprì davanti a loro: riportava dritti a casa loro.
Alberto, per tutto il viaggio, ebbe la moglie alle spalle, e non aveva bisogno di saperla con gli occhi, visto che sentiva il suo passo tra le sterpaglie e tra le frasche. Ogni tanto si girava per guardare, ma non vedeva altro che quella ragazzina scanzonata prima coperta con gli occhiali e il cappello.
Non appena rigiratosi dopo quell’ultima giornata, vide uno spettacolo che nessuno vorrebbe vedere.
Sua moglie era invecchiata di colpo di parecchi anni. Aveva la testa calva e le guance emaciate. Si direbbe che avrebbe perso molto peso.
Alberto non ci capacita del cambiamento della moglie. E gli chiede spiegazioni. Lei gli racconta di essere stata presa dal cancro in quanto ereditaria. Nel frattempo di quel viaggio sia lui che lei erano rimasti orfani dei genitori. Come se durante il viaggio il tempo fuori dalla porta dove erano entrati si fosse accelerato. Quella settimana passata su per le montagne era circa un decennio rispetto alla realtà che Alberto stava vivendo E in quei dieci anni la vita dei suoceri e dei genitori di Alberto si era spenta. I figli invece erano cresciuti regolarmente, con le copie reali dei due genitori che crescono i figli come li crescerebbe qualsiasi coppia di genitori.
Alla fine del conto Alberto era fuori dalla sua vita che il giorno precedente stava vivendo con Gianni. Adesso anche lui era invecchiato come la moglie. E lo specchio fu implacabile. Lentamente vide nello specchio le rughe accentuarsi. Mentre la moglie invecchiava sempre più fino al punto di spegnersi tra le sue braccia.
Il cancro l’aveva divorata.
Alberto si trova ad un punto morto della sua vita. Solo e senza i figli che avevano due altri genitori su cui fare affidamento. Iniziò, vecchio e canuto, a girovagare per il parco della città.
La panchina del parco fu il sicuro approdo a cui ancorarsi.
Ma la giornata stava per finire, dopo il pomeriggio passato a guardare la gente che passa e a fantasticare su cosa facessero nella loro vita.

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misero ad essere molto più coppia di quanto lo fossero stati fino a quel momento. Fecero progetti su progetti, viaggi su viaggi. Ma alla fine ci fu una risultante: sarebbero andati nelle foreste della montagna. Erano un luogo che non avevano mai visto entrambi. E finita la bagarre dell’essere genitori avrebbero fatto quel viaggio. Solo che non  avevano fatto i conti con i nonni della bambina in arrivo: li avrebbero inchiodati ad essere la famiglia di cui potersi vantare con i loro amici. Volevano che la loro prole fosse da invidiare. E già il fatto che ci fosse un bebè in arrivo era una cosa buona: qualcosa di cui poter sparlare a più non posso.
Il tempo passa e i due parlano sempre più di quel viaggio da fare finita la situazione di essere dei genitori.
Quando lei partorisce Alberto era li presente. Accanto a lei. Non lo voleva fare ma la pressione moralizzatrice dei genitori di lui lo portò ad essere come tutti i babbi del mondo che aiutano la moglie a partorire. La madre di lei avrebbe voluto esserci visto il fatto di aver avuto tanti figli, ma gli infermieri la bloccarono sul nascere dicendo che solo il padre poteva essere presente.
Legandosi al dito il permesso negato, la suocera di Alberto rimase fuori ma fece di tutto per parlare male dell’ospedale a tutti quelli che gli capitavano a tiro.
Francesca, dopo lo sforzo semplice, ma pur sempre complicato, di far nascere la figlia, dopo la testa piena della madre che gli aveva spiegato come comportarsi per filo e per segno, la prima parola detta al marito fu di quel viaggio.
La crescita della figlia piccola li bloccò fino al giorno in cui lei prese una settimana di ferie e lasciò la bambina dalla madre per fare quel viaggio. Ma non appena fiondatasi sulla valigia da riempire insieme al marito un problema si fece avanti: il sesso programmato dei due coniugi, pur se fatto con il calendario in mano per non rimanere incinta scontentando i suoceri, creò nella pancia di lei un altro fagottino da crescere.
E così arrivò anche il secondo figlio. La settimana di ferie fu appena sufficiente a programmare e a chiedere disperatamente un altro permesso maternità al lavoro di lei. Quello gli fu accordato, perché con i moderni mezzi della tecnologia lei poteva lavorare anche da casa. E così fece preparando cause per lo studio e non lasciando scontenti i suoi colleghi di lavoro vista l’assiduità con cui andava in ufficio con il pancione e dava tutte le direttive necessarie in quanto vicedirettore della situazione.
Alberto continuava le sue mansioni di casalingo da qualche anno in solitaria, visto che la suocera aveva finito il suo lavoro di istruttore del genero.
Il maschietto fu accolto con grandi feste che preoccupavano i due genitori del bambino per non montargli troppo la testa.
I bambini sono cresciuti soprattutto con la supervisione del padre, quando la madre non poteva essere presente per il lavoro. Anche se cercava, sotto…

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Passarono due mesi in cui lei non faceva altro che andare dal ginecologo per sapere come comportarsi con la gravidanza. E Alberto proseguiva la sua ricerca di nuovo lavoro. Dopo l’ennesimo tentativo nella fabbrica di provincia dopo averle scartate tutte, Alberto rispolverò il fatto di fare lui le faccende di casa al posto della moglie, che oramai aveva sempre più difficoltà nel muoversi. Dapprincipio venne la suocera di Alberto, che lo apostrofò come scansafatiche e parassita. Al ché Alberto non ce la fece più e diede due sonore pedate alla suocera e la cacciò di casa dicendogli che uno scansafatiche non si sarebbe dato tanto da fare per cercare un nuovo lavoro. E che se si mette a fare il lavoro di sua moglie in casa non è di certo un parassita, che altrimenti avrebbe preso di buon grado l’aiuto della suocera facendo il minimo indispensabile.
Francesca non se la prese troppo per le pedate del marito. Anzi andò dalla madre e gli disse che siccome lei stava ingranando nel lavoro di avvocato, alla facciaccia di lei e della suocera, e forse anche dei rispettivi mariti, sarebbe stata cosa gradita, oltre che piena di rispetto, fare in modo di trasformare un disoccupato in un occupato casalingo. La mamma di lei voleva godersi un poco la nipotina e quindi poteva trasferirsi da loro per farlo. Ma guai a mancare di rispetto al marito dicendogli quelle cose, perché anche lui stava dando una mano al menage della famiglia e quindi andava preso in considerazione. Oltre a questo si era messo a fare il tuttofare per i vicini, portando a casa un briciolo di soldi: si poteva dare dello scansafatiche ad un genero simile?

* * *

Francesca si siede per terra. E mentre si siede invecchia molto rapidamente. I vestiti si trasformano nel tailleur grigio di quella mattina e indica a Albero di sedersi davanti a lei.
“Voglio fare un viaggio insieme a te” dice Francesca ad Alberto. Lui la guarda con fare tranquillo e continuativo.
Lei indica due zaini da girovago spuntati fuori dal nulla. Erano completi di tutto, acqua compresa. Lui li guarda e vede scritto il nome di lei su uno e il suo sull’altro.
Lui rimane con lo sguardo fisso prima sugli zaini poi su di lei e alla fine dello sguardo gli chiede:
“Dove?”
“Dove abbiamo sempre voluto andare…”

* * *

Le serate di Alberto e Francesca, con in bambino in arrivo, anzi la bambina vista l’ecografia fatta e che aveva completamente deluso i genitori dei due, si

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faccende domestiche prima che lui diventasse la massaia di casa, che c’erano da fare in casa, lo spediva da sua madre con una scusa qualsiasi, naturalmente concordata. E lei ugualmente si rintanava tra le braccia di sua madre per tutto quello che c’era da fare in casa. Per la maggior parte delle volte la madre veniva a stare a casa della figlia, quando Alberto veniva cacciato via a finte pedate nel sedere. Lui faceva la vita del sostenuto, visto che guadagnava un regolare stipendio, e lei faceva la sostenuta casalinga mentre Alberto la aiutava economicamente.
Questo modo di comportarsi funzionò diversi anni fino a quando i rispettivi genitori capirono il trucco.
Il giorno in cui Alberto venne riaccompagnato a casa matrimoniale e la mamma di lei non si fece avanti per aiutare la figlia, i due capirono che non c’era alternativa: il tempo dei giochi era finito. Dovevano diventare una famiglia vera. Con un figlio, possibilmente.
Lui non aveva mai fatto sesso con sua moglie perché lui aveva una certa preferenza, lei non sentiva il bisogno di sentirsi appagata sessualmente. Per l’appagamento aveva il suo lavoro e tanto le bastava.
Passò una sera, due dopo il completo abbandono da parte dei rispettivi genitori, ma alla terza iniziarono le prove del loro lavoro sessuale per cercare di avere un figlio. Lei si presentò nel letto con una mappa ben dettagliata di come dovevano comportarsi. Tra qualche giorno sarebbero stati i suoi giorni fertili. E se lui non voleva fare sesso con lei, lei avrebbe fatto da sola grazie ad un amico biologo con un impianto fatto in casa, visto che l’amico si stava specializzando e le cavie erano sempre gradite. Lui passò una giornata lavorativa, troncando un pezzo buono alla macchina di lavorazione, pensando a cosa fare per la questione del figlio.
Scelse l’inseminazione.
Fu quel pezzo rotto che lo mise sotto la lente dei suoi capi. Fu quel momento che fece scattare nella dirigenza la lente d’ingrandimento sul suo operato di lavorante della fabbrica. Che prima di allora era sempre stato eccellente, ma da quel momento in poi si trasformò in pessimo grazie anche al fatto che il pensiero di diventare padre gli dava una certa ansietà: ce l’avrebbe fatta?
Quella domanda ronzante nella sua testa lo portò a rompere pezzi su pezzi. E questo non passò inosservato alla dirigenza della fabbrica, che videro in lui un possibile soggetto da cancellare per eventuali tagli di personale.
Così fu. Alberto si ritrovò appiedato.
Due giorni dopo che Alberto si ritrovò al tavolo di cucina ad organizzarsi per cercare un nuovo lavoro, dopo diversi anni di lavoro nella fabbrica, Francesca portò la notizia che già i genitori sapevano grazie ai loro agganci con il ginecologo di famiglia: era incinta.